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Biciclette come metafora di vita, la mostra di Faccin

La bicicletta come metafora di una vita e di un pensiero libero, così come libera è la sua pittura, tra giri di freni e campanelli (la mente e lo spirito), mercati a volo d’uccello, gru, eliche di aeroplani, barche, isole e spiagge, per un viaggio della fantasia fatto di colori, ideogrammi e pittogrammi. C’è tutto l’alfabeto concettuale, mediterraneo e onirico di Franca Faccin nell’antologica Giallo blu verde rosso. L’altalena dei giri di freni, fino al 25 settembre (2022) nella Galleria di Piazza San Marco, sede della Bevilacqua La Masa di Venezia. A cura di Luisa Turchi con la collaborazione di Paolo Rosso, l’esposizione si compone di 67 fra dipinti e disegni dell’artista vicentina, nota per il sintetismo iconico delle sue biciclette, che «sono come astronavi che volano», spiega Faccin a Myriam Zerbi nella bella intervista inserita nel catalogo della rassegna (Antiga Edizioni). Franca Faccin (1948) inizia a disegnare fin da bambina. Frequenta il Liceo Artistico a Venezia e tra i suoi maestri ci sono Armando Pizzinato e Lucio Andrich. Tra personali, collettive e riconoscimenti nazionali e internazionali, il suo percorso si inserisce dapprima nell’espressionismo veneto e si fa via via sempre più scarno ed essenziale, fino a distaccarsi dal figurativo.

Nel 1999 pubblica «La bicicletta e il mare», una favola per bambini (e adulti) che è un sogno naif e che ritroviamo nella mostra: «Architetture indefinite per un’iniezione di energia – sottolinea Turchi – attraverso la potenza del colore».

In una sala scopriamo gli esordi pittorici, gli affetti e i luoghi cari, coi ritratti dei genitori o la spiaggia di «Eraclea».
L’importante incontro con Peggy Guggenheim nel 1964 è ricordato da una tela che raffigura la camera della collezionista-mecenate e un ritratto su carta. L’excursus si sviluppa per sale cromatiche, con al piano terra le opere in giallo e azzurro e al primo piano le tele rosse, con le biciclette a fare da fil rouge: «La bicicletta siamo noi», un tutt’uno con le nostre pulsioni interiori, generate anche dall’incontro con l’altro sulla nostra strada.

Emblematica è un’opera a tecnica mista, «Il pirata», dedicata a Marco Pantani. Tra grafismi dal sapore orientale, metafisica del colore e del segno minimalista, riecheggiando Bruno Munari e Klee, l’itinerario prosegue verso le «Macchie» e i «Calligrafismi» e sempre più tendente all’astratto con linee, figure geometriche e la luce che si scompone. «Come le onde del mare – conclude Faccin – che arrivano sulla spiaggia, così è anche il mio animo, un moto continuo».

Articolo tratto dal “Corriere del Veneto” del 26/08/2022